DOVE IL VENTO RECITA PREGHIERE

Partenza da Malpensa con volo di linea Qatar alle 9,40. Si è a Doha alle 16,35 da dove si riparte due ore dopo. Non essendoci collegamenti diretti col Bhutan, tra le varie possibilità esaminate per arrivarvi, e soprattutto trovare coincidenza tra voli intercontinentali e locali, ci è sembrato più opportuno arrivare a Calcutta e ripartire da Delhi. Ciò consente anche di ottimizzare i tempi, oltre che introdurre la visita di due siti UNESCO non molto noti a Delhi).

Siamo alle 2,20 a Calcutta. Si prosegue con Druk Air alle 8,15. Abbiamo scelto Qatar anche perché le ore di transito a Calcutta consentono di poter stare tranquilli circa la coincidenza per Paro, visto che le operazioni di ingresso in India sono assai laboriose con tempi non sempre prevedibili. Occorre inoltre ritirare il bagaglio ed effettuare un altro check-in per il volo successivo.Giungiamo a Paro alle 9,55.  Poco dopo un’ora dal decollo da Calcutta, il panorama dall’oblò ci suggerisce che ci avviciniamo alla lunga sequenza di monti, tra i quali sta la cima che punge più da vicino il cielo. ... La minuscola striscia aperta tra le montagne che forma la Valle di Paro, sorprendentemente nasconde anche un tratto asfaltato su cui atterrare. Dopo le pratiche doganali, incontriamo la guida e saliamo sul nostro minibus diretti alla capitale distante circa 50 chilometri, che percorriamo in poco più di un’ora.Il viaggio in Bhutan è cominciato e te ne accorgi. Appena esci dall’aeroporto, già esso strano, minuscolo, qualcosa cambia. La strada, decisamente buona, percorre luoghi che appaiono subito “diversi dal conosciuto”. Colpiscono case e piccoli palazzi, tutti bianchi, ornati da interventi in legno e decori. Degni d'attenzione sono anche gli inserti di vari materiali che abbelliscono le parti superiori degli edifici, che somigliano a corone poggiate sul tetto. Il traffico è scarso. Iniziamo così il nostro itinerario che prevede l’attraversamento di una vasta regione bhutanese, zigzagando da est a ovest sull’unica strada che taglia in due il Paese.Già lungo questo breve percorso, osserviamo un panorama che presenta alcuni aspetti che caratterizzano fortemente il Paese, come i ponti sospesi ornati da infinite bandiere preghiera, uno dei quali porta al Tachog Lhakang*, con la classica struttura bianca su un’altura a sinistra del percorso.All’arrivo nella capitale, ci rechiamo in hotel per il pranzo. Distribuzione delle stanze e pomeriggio a disposizione per relax, un massaggio, una passeggiata o un primo approccio individuale con la capitale. (Curiosità: è anche possibile andare all’ufficio postale per farsi personalizzare francobolli da usare per le cartoline. Esistono ancora).Pranzo e cena in hotel. (*Il termine lhakhang, “casa di dio”, indica genericamente tempio. Stupa è un edificio buddhista a forma emisferica, in Bhutan noto come chorten, monumento in pietra a volte contenente reliquie, ma in cui non è mai possibile l’accesso perché non ha cavità. Dzong significa fortezza-monastero, in parte adibito ad alloggi per i monaci e anche a uffici amministrativi. Il gompa è un monastero).  Il nostro hotel a Thimphu, Druk Hotel. Più volte ristrutturato, si trova nel cuore della capitale in buona posizione per passeggiare anche da soli nel centro cittadino. Solo una trentina di stanze, fa parte della prima vera catena alberghiera realizzata nel Paese per turisti. Offre sufficienti comodità per la sosta nella capitale, ed è un buon modo per saggiare l’ospitalità degli hotel bhutanesi. A Thimphu abbiamo avuto la possibilità di scegliere tra un numero non ridotto di hotel, ma lo stessa non è data in tutte le altre località. Per fortuna abbiamo deciso di scegliere tra più soluzioni, non solo tra quelle basiche indicate dalle autorità locali.In quasi tutti gli hotel che frequenteremo, potremo notare uno stile “non minimalista” con aspetti per noi forse un poco eccessivi nei decori e colori. Il Bhutan è anche questo.
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(Le visite previste a Thimphu e nelle altre località sono evidenziate in grassetto. Potranno essere modificate durante il viaggio per motivi ora non noti, come ritardi negli spostamenti, variazioni negli orari di apertura, chiusure totali o parziali dei luoghi previsti, ed essere annullate o sostituite secondo la situazione che si incontrerà) Thimphu, a 2.250 m slm, è capitale dagli anni ’50 dello scorso secolo ed è una miscellanea, tipica dell’intero Bhutan, di tradizione e modernità, tranquillità e animazione, religiosità e commerci, costumi tradizionali e cellulari. La fretta non pare esistere, ma i suoi abitanti sono certo attivi. ... Strade ampie, “il vigile che balla”, edifici in stile tradizionale, decori alle porte e finestre, sui tetti. La città scorre lungo il fiume Wang (chhu indica fiume). I thimphunesi sono cordiali, ma verificheremo che lo sono generalmente tutti i bhutanesi. Quelli della capitale, censiti nel 2021 sono circa 120.000. In totale arrivano a poco più di 800.000 distribuiti su 38.000 kmq, un territorio grande quanto il Piemonte e la Campania, con una densità di 29 abitanti per kmq, contro i quasi 200 in Italia.La città si presenta gradevole. Durante una recente visita, un compagno di viaggio si è entusiasmato perché gli è sembrata “bella e pulita come la Svizzera”. (Gli è stato consigliato la prossima volta di risparmiare tempo e soldi recandosi direttamente nel Canton Ticino). Non è forse il luogo con l’atmosfera più tipica del Bhutan, ma è certo interessante. Il National Memorial Chorten, il Changangkha Lhakhang e il Trashi Chhoe Dzong, sono i complessi architettonici più rilevanti. Il National Memorial Chorten, al centro della città, è il luogo religioso maggiormente frequentato. Ci vanno per pregare, far girare le ruote-preghiera, rivolgere suppliche verso un altare al centro dell’edificio. È una grande struttura costruita in memoria del terzo re. Colore dominante è il bianco, arricchito da particolari dorati come l’alto pinnacolo. Altari, statue, dipinti e sculture tantriche*, presentano un pantheon buddhista elaborato e complesso, in cui deità positive e negative, protettrici e punitrici, si mescolano. Il risultato è un folclore religioso e una “fede” in cui il bene e il male si sovrappongono e mescolano. (*il tantrismo è una pratica religiosa, presente nell’induismo e buddhismo, che unisce elementi dei “canoni” teologici con tecniche e riti magici, oltre che dello yoga. Anche il Kamasutra è parte di queste concezioni). Il Changangkha Lhakhang è simile ad una fortezza, come del resto molti altri edifici religiosi bhutanesi. Costruito a sud est della città su un crinale, risale al XII secolo. Include pure un seminario ed è stato fondato da un lama tibetano. (Forti sono, in generale, i legami con molti aspetti della realtà tibetana).La struttura è notevole, ricca di particolari artistici e architettonici. Da notare le mura impregnate del tempo passato, in cui sono inserite nicchie con numerosissime ruote preghiera, protette da sporgenze in legno ben intarsiate.Il Trashi Chhoe Dzong è imponente, pur essendo alto solo due piani. Pare anch’esso un forte, un monastero, una roccaforte aggraziata. Non domina il circostante da una posizione elevata. Come gli uomini forti per intrinseca saggezza e cultura, non hanno bisogno d'essere alti due metri per primeggiare tra gli altri, così questo dzong sovrasta il circostante non per la sua posizione, ma per magnificenza. È sulla riva del fiume, il colore predominante è il bianco calce, valorizzato da coperture rosso-ruggine e più piccoli tetti che coprono tutto, con colore quasi dorato. Ha subìto vari rifacimenti in seguito ad eventi che ne hanno danneggiato l’originaria immagine, ma non ha perso capacità di attrarre. Le possibilità di visita delle parti interne sono assai scarse, perché condizionate dalle attività degli uffici amministrativi. Normalmente si sale sulla collina che domina il manufatto per osservarlo dall’alto.  Questo limite può presentarsi anche in altri dzong e luoghi di culto in tutto il Bhutan. Inoltre, può pure succedere che, pur avendo ottenuto i permessi per gli ingressi, questi possano essere limitati o impediti per motivazioni a noi ignote. Il Simtokha Dzong, a cinque chilometri dal centro, è una struttura notevole del XVII secolo. “Il Palazzo del Significato Profondo dei Mantra Segreti”, non importa se da alcuni erroneamente ritenuto il più antico del Bhutan, è certo tra i pochissimi dell’intero Paese a conservare le antiche consunte rugose originali strutture. (Non ci sono state segnalate modifiche significative).È sede di un istituto di cultura bhutanese ed è meta di molti monaci e fedeli. Anche tale complesso è situato in un luogo strategico per il controllo delle comunicazioni. Presenta una torre centrale a tre piani, statue, dipinti, pitture murali nascoste dietro teli per proteggerne la sopravvivenza, ruote-preghiera, particolari che ne denotano l’antica origine. Nella capitale, durante il fine settimana si tiene un mercato che avremo occasione di frequentare forse nel tempo libero, tra odori di incenso e pesce secco.  Prima di lasciare la capitale, daremo un’occhiata verso le alture che la circondano per osservare l’enorme statua di Budda, noto come Buddha Derdenma, alta oltre 50 metri. Non è un’opera architettonicamente apprezzabile, di recente costruzione è stata terminata solo pochi anni fa, ma è certo imponente.Nel pomeriggio possibilità di tempo libero.Pranzo in ristorante locale e cena in hotel.
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Indichiamo chilometraggi e tempi di percorrenza solo per fornirne l’ordine di grandezza. Le condizioni della transitabilità, legate a eventuali lavori in corso o altri motivi ora non noti, possono modificare, o addirittura stravolgere il programma, con possibili cambi anche nelle visite e luoghi di pernottamento. Le soste previste potranno inoltre essere modificate, perché alcuni complessi religiosi potrebbero essere in restauro, e sostituite eventualmente con altre. Il Bhutan è uno dei paesi buddhisti in cui questa attività è più praticata).Partenza col minibus decisamente verso il centro del Paese. ... Il decisamente, in realtà, è pura aspirazione perché da oggi assaporeremo velocità medie assai ridotte, attraverso le curve del territorio montano. Verificheremo che i tempi necessari per percorrere brevi itinerari, possono risultare maggiori per esempio anche di quelli in certe regioni indiane, nonostante questa sia di fatto l’arteria più importante del Bhutan. Però, il nostro andare scorre tra panorami non banali, senza troppi bus e auto, strombazzamenti continui, aria irrespirabile. Gli scorci e le fermate eviteranno che venga considerato come l’inevitabile sacrificio da sopportare per spostarsi da un luogo a un altro. Tra saliscendi e tornanti, una tappa doverosa è al passo di Dochu-la, a 3.000 metri.La stagione da noi scelta per il viaggio è certo più propizia di altre, anche per le vedute possibili da questa posizione. Il luogo è degno d’attenzione anche per la presenza di tantissimi piccoli chorten. Ve ne sono 108*, un numero assai caro ai buddhisti. (*108 sono le preghiere scritte nei rotoli di carta contenuti nelle ruote-preghiera, 108 sono anche le bandiere-preghiere dedicate ai defunti, e la somma di 1 più 0 più 8 fa 9 che è il numero sacro per eccellenza nel mondo buddhista, non solo in Bhutan). La collina che sovrasta il passo è notevole, oltre che per le fioriture, anche perché letteralmente ricoperta di bandiere-preghiere stese tra gli alberi da fedeli e viaggiatori. (Il luogo ricorda molto la Collina di Pharping in Nepal).Prima di arrivare a Punakha, su una collina al centro di una valle sta il Chimi Lhakhang. Da lontano, il tetto giallo permette di capire che siamo vicini al tempio. Costruito per ricordare un famoso lama nato in Tibet nel XV secolo, risale al 1499 e vi si arriva dopo una passeggiata in salita. Già nel parcheggio, i falli in legno che le bancarelle propongono, indicano le caratteristiche del luogo sacro.Il lama tibetano, detto il “santo folle”, uno dei più celebrati personaggi del Bhutan, ha creato un culto assai partecipato. Una delle sue manifestazioni più evidenti, specie in piccoli centri, sta negli enormi falli dipinti in modo assai realistico sulle pareti di alcune case. Sono immagini propiziatrici della fertilità, e mostrano con dovizie di particolari, peli, erezioni, eiaculazioni e quant’altro possa mettere in difficoltà anche maschi che non abbiano mai sofferto di ansie da prestazione. Le donne ancora oggi vengono nel tempio per rivolgere preghiere in casi di infertilità. Pare si trattasse di un “folle e divino”, che ha vissuto la sua strana religiosità tra il XV e XVI secolo, esplicitando i suoi pratici insegnamenti in una strofa, che estrapoliamo da un suo scritto: “Uso parole belle e sconce per i Mantra, …la mia pratica di meditazione sono le fanciulle e il vino”.Secondo i bhutanesi gli enormi falli rappresentati non in modo ovattato sulle facciate delle case, riprodurrebbero proprio le fattezze del membro di questo originale lama, le cui imprese sessuali continuano ad essere leggendarie.  (Una figura mitica che ricorda quella venerata ancora oggi in Myanmar nel tempio del Monte Popa).Il tempio è considerato assai significativo nella religiosità bhutanese, e conserva sue statue, del suo cane e di altri personaggi, tra cui uno con 1.001 braccia.Oltre ad acquistare un souvenir in legno, si potrà ricevere una benedizione con un prezioso fallo, lasciando una piccola offerta. Secondo l’ora di arrivo a Punakha, potremo iniziare le visite o fruire di tempo libero.Pranzo in corso di escursioni e cena in hotel.Il nostro hotel a Punakha, RKPO Green ResortIn posizione panoramica sulla vallata, con vista su pinete e risaie, è costituito da piccole costruzioni in stile tradizionale. Le stanze sono grandi con ampie vetrate. Disponibile anche una SPA. A piedi si può arrivare al Chimi Lhakhang, il tempio del Lama Folle.
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iPunakha si trova a circa 1.400 metri slm ed è stata capitale sino al 1955. Situata in una valle temperata, è in posizione apprezzabile, alla confluenza di due fiumi il Mo Chhu (Fiume Madre) e il Pho Chhu (Fiume Padre). È famosa per il suo Dzong, ritenuto da molti il più interessante e bello del Bhutan, caratteristiche accentuate dalla localizzazione, ulteriormente esaltate in primavera, quando il lilla delle jacarande in fiore contrasta il bianco delle mura del complesso. Vi dedichiamo buona parte della mattinata.Si considera eccezionale perché unisce grazia estetica e forza architettonica. ... Una piacevolezza accentuata dall’essere nel luogo di confluenza dei fiumi “maschio e femmina”. Si presenta in ottimo stato di conservazione, ed è anche il secondo dzong per antichità di tutto il Bhutan. La struttura inizia ad essere innalzata nel XVII secolo, anche se già quattrocento anni prima qui sorgeva un altro luogo di culto. La presenza di legno dorato o dipinto di rosso e nero, la cupola ramata, i cortili, il grande portone d'accesso, chorten, la zona riservata ai monaci, dipinti murali, statue e sale, sono un insieme coinvolgente contenuto in un complesso grande più di due campi di calcio.Tutte le incoronazioni dei re bhutanesi sono avvenute qui, a dimostrazione dell’apprezzamento universale di questo luogo.Nelle vicinanze c’è il ponte sospeso, uno dei più lunghi del Paese, che può essere meta di una passeggiata durante le ore libere del pomeriggio.Il tempo che abbiamo a disposizione potrebbe anche consentirci anche di entrare un poco nella realtà locale, recandoci in uno dei vicini villaggi, (Nobgang, Talo). In alternativa andremo a pochi chilometri da Punakha al Dho Jhaga Lama Lhakhang.Nel pomeriggio, possibilità di tempo libero.Pranzo in ristorante locale e cena in hotel.
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Durante il trasferimento verso il centro del Paese, sostiamo al Wangdue Phodrang Dzong, distante una ventina di chilometri da Punakha. (Anche in questo caso, il programma potrà essere variato, se riscontreremo che sarà più opportuno recarvisi il giorno prima, in sostituzione delle visite previste dopo il Punakha Dzong). Si tratta del più antico dzong presente in questa regione del Bhutan. Arroccato su uno spuntone roccioso, nel passato aveva anche funzione militare, e per molti anni si è meritato l’interesse di fedeli e visitatori. Domina la valle e fa da spartiacque tra i fiumi Punak e Dang che lo rispecchiano in basso. ... Risale al XVII secolo ed è stato sede del governo che controllava l’intero Paese, vista la sua posizione strategica all’incrocio di vie commerciali e militari. Per chi scrive, rappresenta(va) una delle strutture più fascinose del Bhutan, perché i lavori di restauro non erano riusciti a togliere del tutto la patina di antico e rugoso splendore. Anche qui, come in moltissimi altri luoghi sacri, falegnami ed artigiani operavano costantemente per sostituire le parti corrose dal tempo, ma nel complesso il tutto continuava ad essere immerso in un’autentica godibile decadenza. Tre edifici, uno di seguito all’altro, assecondavano l’andamento dell’altura. L’ingresso, a nord, era preceduto da un palo della preghiera. All’interno, dal cortile assai bello e dalla torre centrale, si poteva sbirciare fra le feritoie il panorama della valle. Nella grande sala non mancavano raffigurazioni dei buddha presenti, passati e futuri. Nel 2012, però, un incendio ha causato danni tanto gravi da necessitarne la chiusura, consentendone la riapertura solo lo scorso anno, dopo massici interventi anche strutturali.Forte è la curiosità di verificare (sperando si possa entrarvi) se i risultati, definiti soddisfacenti anche dalle autorità religiose, possano non far rimpiangere molto il precedente stato.Comunque, oltrepassato il Wangdue Phodrang Dzong. proseguiamo verso est.L’itinerario odierno consente di arrivare sino al cuore del Bhutan, il Bumthang, la regione che da sempre rappresenta lo snodo commerciale e culturale cruciale per tutto il Paese. Qui, pur essendo presenti alcune delle opere dell’architettura religiosa più rilevanti del Bhutan, il turismo è meno invadente che nella parte occidentale.Percorrendone le strade, a volte l’asfalto lascia il posto a buoni tratti sterrati. Bandiere preghiera, boscaglia, foreste, bambù, e qualche rallentamento per ampliamenti o ripristino della carreggiata, accompagnano a volte i trasferimenti. Questi lavori, che spesso impegnano anche le donne, in genere ricevono contributi economici dell’India, padre-protettore del Bhutan. S'incontrano, negli agglomerati di case che si attraversano, uomini e donne a volte abbigliati elegantemente, con un portamento che pare risentire proprio dall’indossare costumi tradizionali. Le alture sono attraversate da valli, le bandiere-preghiera si alternano a ciuffi di verde.  Il tutto è caratterizzato dalla fioritura dei rododendri, che ornano specie le aree intorno ai valichi.Ci dirigiamo verso il Bumthang attraverso i Monti Neri, andando oltre il Passo Pele-la a 3400 metri, che dividono fisicamente il Bhutan occidentale da quello centrale. La strada prima scende verso il fiume, per iniziare poi la lunga ascesa che conduce al passo. Osserviamo valli, colli, pareti scoscese, si susseguono foreste. Poi giungiamo nel punto più in alto dove il passo ospita, come tradizione in tutto il mondo buddista, ma in modo più diffuso in Bhutan, bandiere preghiera e chorten, i classici monumenti religiosi in pietra.Dal passo si scende verso Chendebji, tra cespugli di piccoli bambù e yak che giustamente reclamano la precedenza sulla strada. Corsi d’acqua e boschi accompagnano a tratti sino al Chendebji Chorten, del XIX secolo, vicino al fiume. Il grande idificio ricorda vagamente lo Swayambhunath di Kathmandu. In realtà, anche se in stile nepalese, i due luoghi sono abbastanza diversi, ma una breve sosta non è certo inopportuna per la struttura in sé, il muro-preghiera, l’ambiente montano boschivo, le bandiere-preghiera.Qualche altro piccolo agglomerato, torrenti, valli, scimmie, e si giunge al centro del Bhutan, Trongsa, una cittadina in cui si può forse percepire un’atmosfera tibetana per le consistenti migrazioni da quel Paese dagli anni ’50. Qui, dal XVI secolo, in posizione strategica sovrastante il fiume Mangde, si trova il Trongsa Dzong. Enorme struttura, appare ancora più imponente per la sua posizione. Mura alte, bianche, torri e vari edifici seguono il profilo dell’altura che li ospita oramai da quattro secoli, con vista sulla valle spaccata dal fiume. L’articolazione del complesso e la collocazione particolare caratterizzano il posto. Cortili interni, corridoi amplissimi, edifici a sezione quadrata, rettangolare o arrotondata, scalinate in pietra, varie porte di accesso (oggi se ne usa una sola), templi di varie dimensioni (non tutti accessibili), sale, dipinti murali.Un interessante complesso, accentuato dal contesto ambientale che giustifica l’importanza avuta nella storia, posto al centro geografico del Bhutan. Un tempo la via che univa la parte occidentale e orientale del Bhutan tagliava in due proprio il dzong. Anche al Ta Dzong, noto anche come Tower of Trongsa, faremo una sosta. Situato in alto, la sua struttura è stata realizzata come torre per l’osservazione. Contiene memorie della storia bhutanese, una vecchia radio, documenti antichi. Nel passato fungeva anche da prigione.Ci si dirige poi verso la valle di Bumthang che dista una settantina di chilometri, oltre il Passo di Yutong. Vi giungiamo in serata per la cena.Pranzo in ristorante locale e cena in hotel.Il nostro hotel a Jakar, The Village LodgeAssai vicino al dzong, ben visibile dall’hotel, è in buona posizione per godere della vista anche sulla vallata. Abbastanza accogliente e con ottima gestione. La cucina, normalmente, si distingue positivamente da altri hotel frequentati. L’hotel, in alcune classifiche, è definito il migliore di Bumthang.
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L’area nota genericamente come Bumthang occupa una vasta superficie e comprende alcune valli tra cui quella di Chhume, spesso identificata con l’intera regione. “Bumthang” sembrerebbe indicare il “luogo dei contenitori d’acqua sacra”, con riferimento alle ciotole con l’acqua comunemente offerte alle divinità nei templi. Il giorno precedente avremo attraversato anche la parte di territorio che da Trongsa conduce a Jakar, il più popoloso agglomerato urbano del Bumthang, percorrendo una strada che sfocia nella valle di Chhume, poi risale per ridiscendere al fiume Gaytsa, tra boschi di pini abeti bambù e piccoli templi. ... A Jakar l’attrazione principale è il suo Dzong. Posizionata a 2500 metri nella valle di Chokhor, è nota anche per il vento che contribuisce la sera ad abbassare la temperatura. Jakar Dzong pare significhi “castello dell’uccello bianco”. Il riferimento è alla leggenda secondo cui l’edificio venne realizzato nel XVII secolo, nel luogo indicato appunto da un uccello bianco. Un sentiero porta all’ingresso che dà accesso a cortili, uffici amministrativi, dimore dei monaci, cappelle, torre di guardia, snodi tra un edificio e l’altro lastricati in pietra, passaggi interni. Il circostante è in sintonia col valore dell’antico manufatto.Nella zona è possibile cercare di acquistare un prodotto tipico lo yathra, un tessuto di lana. Ancora oggi la lavorazione avviene manualmente per realizzare coperte e pesanti indumenti come scialli e giacche, da utilizzare in inverno contro il freddo consistente. La giornata trascorre in una zona non anonima anche dal punto di vista naturalistico.Nella Valle di Chokhor si trovano anche altri luoghi sacri. Andremo in qualcuno di quelli sottoindicati.Il versante occidentale della valle conserva il Jampey Lhakhang e Kurjey Lhakhang. Il primo, più antico e pieno di storie, risale al VII secolo e pare sia stato costruito da un re tibetano. Offre un’impressione di antichità che non si ritrova in molte altre memorie architettoniche della valle. Particolarmente significativi sono tre gradini che rappresentano il tempo, statue di Buddha del Futuro, dipinti murali e l’impronta pare lasciata dal Guru Rinpoche.Il Kurjey Lhakhang è un complesso di templi, il più vetusto dei quali è del XVII secolo. È famoso per contenere tracce dell’onnipresente Guru Rinpoche. Le immagini più significative sono di un leone delle nevi in lotta con il guru, che appare sotto le vesti di Garuda. (Figura mitica tipica dell’Induismo, a ulteriore dimostrazione dei tanti legami tra le due religiosità).Il mitico personaggio è raffigurato anche in mille statuette e in una più grande dietro la quale sta la grotta della meditazione, dove avrebbe soggiornato lasciando l’impronta dell’intero corpo.L’eventuale tempo libero nel pomeriggio potrà essere usato anche per passeggiate individuali o per andare al Drobj Weaving Centre, una iniziativa cooperativa gestita da donne che producono abbigliamento.Pranzo in corso di escursione e cena in hotel.
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Vi sono solo due voli settimanali, noi abbiamo elaborato il programma anche per farlo coincidere con quello che parte alle 9,45 e non alle 6,30 per non essere costretti ad un’alzataccia. Arriviamo dopo poco più di mezz’ora a Paro, posta a 2.200 metri.In tal modo risparmiamo un giorno e mezzo di viaggio via terra, meno interessante di quello dell’andata, perché avremmo percorso lo stesso itinerario due volte, con i rischi di tempi ancora maggiori nel caso di inconvenienti. Sostiamo a Paro tre notti e poco meno di altrettanti giorni, da dedicare alla località più apprezzata di tutto il Bhutan. ... Il tempo previsto è sufficiente per svolgere il programma con ritmi e modalità opportune per la conoscenza del luogo, anche relativamente ad alcuni suoi aspetti particolari.La nostra permanenza la dividiamo in tre tempi.Quello dedicato, il terzo giorno, alla camminata per arrivare sino alla Tana della Tigre.Nell’arco degli altri due giorni prevediamo visite di gruppo, ma pure occasioni per fruire di attività individuali, che possono essere suggerite dalle guide e accompagnatore. Il luogo stimola a personalizzare parte del tempo.Paro si snoda lungo le rive del fiume omonimo ed è caratterizzata dal grande Paro Dzong. La via principale, con tanti negozi ristoranti botteghe e case, pur con l’avanzare di moderne costruzioni, si presenta ancora come tradizionale centro storico in cui passeggiare anche per acquisti.Intorno alla bella valle in cui è adagiato il piccolo centro, che ospita poco più di diecimila abitanti, stanno alture anch’esse gradevoli che contribuiscono a fornire sensazioni di rilassatezza. Da sempre, Paro è il centro politico e commerciale che identifica il Bhutan. Qui passavano le merci che giungevano dal Tibet, ma questo era anche il crocevia culturale che ne ha fatto la memoria storica del paese. Inoltre, ha sempre beneficiato di una tra le più godibili valli del Paese. La composta bellezza di Paro e dell’intera valle è data dall’insieme, dal contrasto tra bianco dei templi, verde della vegetazione e dei campi, dalle colline terrazzate. A completare il quadretto non manca il Paro Chu, il fiume che taglia la valle.  Inoltre, ad aprile, non a caso abbiamo scelto questo mese per recarci qui, la natura non sonnecchia. Il cemento non è certo assente, ma il tutto mantiene ancora caratteri di coinvolgente gradevolezza, e anche i negozi d'artigianato sono degni di attenzione, e non solo per le merci esposte.Procediamo con le visite a Paro, nella valle e dintorni, programmandole in modo da ottenere un crescendo di interesse, lasciando per ultimo il luogo sacro più famoso del Paese. Indichiamo i luoghi più significativi presenti a Paro nella valle e dintorni. Alcune di queste visite le lasciamo alla discrezionalità di chi vorrà recarvisi durante il tempo libero. Il Drukgyel Dzong, si trova a circa 15 chilometri dal centro proprio dove l’antica via proveniente dal Tibet, incontra il punto più a nord della Valle di Paro. Risale al XVII secolo, quando da qui passava la più importante via di comunicazione col Tibet. L’arteria e il Dzong erano parte di un sistema difensivo e di controllo, prima militare e poi commerciale. Oggi del Dzong rimangono solo imponenti rovine, dopo che un incendio nel secolo scorso non ha risparmiato quasi nulla. Sono in atto lavori di sistemazione da anni, anche se ciò non ne ha molto migliorato lo stato. È in posizione panoramica ed è l’occasione per attraversare la valle e osservare semplici scene di quotidianità locale. Nell’alta Valle di Paro si trova il Kyichu Lhakhang tra i più antichi luoghi di culto artistici del Bhutan. Pare risalga al VII secolo. Ma, l’età esatta non conta, perché il passare del tempo è visibilmente segnato sul pavimento della sala che custodisce una statua di Sakyamuni, uno dei nomi del Budda Storico. Qui, il pavimento in legno è notevolmente consumato davanti alla statua, dove per secoli un infinito numero di pellegrini si è inginocchiato per rendere omaggio alla deità. Dopo l’ingresso, un cortile con dipinti murali dà il benvenuto ai visitatori, che si avvicinano alle immancabili ruote preghiera per farle girare in senso orario. Il complesso include pure strutture più recenti, statue, chorten, sale, porte finemente lavorate.Il Museo Nazionale, noto anche come Ta Dzong (torre d'osservazione), è in posizione elevata rispetto al Paro Dzong, su una collina ad est del fiume. È l'antica torre di guardia risalente al XVII secolo, riattata nel 1968 a museo. Caratterizzata da un'anomala pianta circolare e da mura spesse quasi tre metri, ha un aspetto non certo anonimo. Dentro, si articola in sei piani ognuno dei quali presenta aspetti specifici della vita sociale e religiosa locale. Vi si trova di tutto. Utensili primitivi in pietra, incisioni rupestri, collezioni di thangka, particolari francobolli, illustrazioni delle vicende storiche del buddismo, statue, costumi tradizionali, armi, strumenti musicali.Vicino alla torre sta il Dumtse Lhakhang, edificio del XV secolo che conserva dipinti murali. Scendendo un poco più a valle, s'incontra il Paro Rinpung Dzong, il centro della vita sociale e religiosa della valle. Tra i migliori esempi per stile e stato di conservazione della tradizionale architettura del Bhutan. Vi si accede percorrendo un ponte che attraversa il fiume.È una struttura nota anche a chi non sia stato in Bhutan, ma abbia visto “Il Piccolo Budda” di Bertolucci, perché proprio qui il regista ha girato alcune scene. Risale al XVII secolo, ma nel luogo preesistevano parti di un monastero ancora più antico. Maestoso, solenne, interpreta anche visivamente il ruolo che svolge ancora oggi. All’interno, come in altri dzong, convivono uffici amministrativi e attività religiose svolte da monaci che qui risiedono. Oltre la porta di ingresso s’incontrano cortili, torre, templi, travi lignee con intagli dipinti in oro e nero che ben contrastano con il bianco delle mura. L’area destinata ai monaci offre varie sale, portici, dipinti che mostrano scene col veneratissimo Milarepa.Durante il tempo libero del pomeriggio, ognuno potrà scandire il tempo come meglio desidera per approfondire aspetti che abbiano particolarmente incuriosito, tornando nei luoghi visitati o recandosi in altri, passeggiare in una zona che piacevolmente si presta a questa attività, riposare, approfittare di un massaggio, fare acquisti, noleggiare una bicicletta, recarsi in un laboratorio poco fuori Paro per osservare la tradizionale produzione della carta ricavata da arbusti locali, provare ad avvicinarsi ad una attività in Bhutan assai diffusa come il tiro con l’arco… Il nostro hotel a Paro, Tenzinling ResortAbbiamo scelto questo perché è moderno, funzionale, con qualche intervento nella struttura ed arredi che richiama la tradizione. Particolari sono la cortesia e professionalità del personale. L’albergo è costituito da piccole costruzioni in cui trova posto anche una SPA. Il complesso e le camere sono sufficientemente accoglienti, anche se non è l’hotel con più personalità del viaggio.(Per il soggiorno a Paro, avremmo voluto una sistemazione diversa, perché eravamo abituati ad un hotel di grande charme, il Gangtey Palace, che però non opera più come hotel. Ora la scelta è assai difficile. Gli hotel migliori hanno costi inaccessibili e la quasi generalità degli altri non è all’altezza delle aspettative. Anche perché, pur avendo alcuni un aspetto gradevole che richiama la tradizione, denotano in genere forti problemi forti nella manutenzione).
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È il giorno dedicato al più famoso monastero del Bhutan. È La Mecca dei Buddhisti bhutanesi. Ogni buon praticante, per lo meno una volta nella vita, vi deve andare.Un oggetto in cui entrare per gustarne tutti i particolari, ma che coinvolge osservandolo anche da lontano. (Non è indispensabile arrivarci per fruire di una scena che, forse ancor più che standoci accanto, regala un panorama raro).Tutti i giorni attende, esposta al limitare di un dirupo a circa 900 metri sul fondovalle, che i visitatori giungano sino lì. Incollato alla montagna, troviamo un insieme decisamente coinvolgente per le strutture architettoniche e il contorno ambientale. ... Cappelle, immagini statuarie, chorten, sorgenti sacre, grotte dove hanno meditato schiere di sant’uomini, porte intarsiate, simboli di saette, cortili, passaggi, tetti dorati, strutture murarie che sembrano appiccicate alla roccia, bandiere preghiera, dirupi, elaborate finestre, decori sulle mura esterne ed interne. Tutto è amplificato dalla non comune posizione. Pare che il complesso risalga al XVII secolo. Ripetuti incendi ne hanno danneggiato alcune strutture originarie, rendendo necessari complicati restauri. Ma, il luogo non rimpiange nulla del fascino antico e visitare la Tana della Tigre è un piacere non solo per gli occhi.Per godere il privilegio di entrare in un posto particolarmente celebrato, è però necessaria una panoramicissima camminata. Ne vale certamente la pena e non è un’impresa ardua, basta voler andare in salita senza alcuna fretta, per un paio d’ore.Non abbiamo tempi striminziti. Abbiamo riservato l’intero ultimo giorno di permanenza in Bhutan per consentire questa escursione a tutti. Non ci sono premi per i primi arrivati e punizioni per gli ultimi o per chi arrivi solo ad una delle piazzole panoramiche. Si tratta di una delle più scenografiche escursioni in Bhutan, per gli scenari e la meta finale. Tutti, a meno che non si manifestino problemi specifici, possono cercare di arrivare alla Tana della Tigre. (In genere, è anche possibile noleggiare con 33 usd dei pony per evitare la camminata. Inoltre, dopo aver provato le proprie gambe nella prima parte dell’itinerario, ci si può fermare nella caffetteria posta lungo il tracciato, dove pranza tutto il gruppo, aspettando qui gli altri. (Il buffet è “essenziale”). Con le auto arriviamo al parcheggio, a circa due ore di camminata dal monastero, superando un dislivello approssimativamente di 400 metri. Essendo oramai in Bhutan da più giorni, non si dovrebbero avere particolari difficoltà relativamente all’altitudine. In ogni caso, l’escursione ha ritmi assai rilassati avendo a disposizione tutto il tempo necessario, secondo le diverse personali caratteristiche.Si inizia a camminare da un chorten, concedendosi varie soste tra cui quella nella caffetteria, prima di agguantare l’agognata Tigre.Il complesso sacro e gli spettacoli naturali compensano ampiamente la faticaccia.Chi scrive conosce bene l’itinerario ma non altrettanto le gambe dei partecipanti. Quindi, può fornire informazioni inevitabilmente generiche.  Nel pomeriggio il tempo libero.Disponendo di tre notti, suggeriamo anche una passeggiata serale per giungere sino allo Dzong il cui ponte di accesso è normalmente aperto anche la notte.
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Un comodo volo alle 11,55 non costringe ad alzatacce. Andiamo in aeroporto dopo la colazione e giungiamo nella capitale indiana alle 13,45.Il tempo disponibile a Delhi prima del volo di rientro è occasione sufficiente per un tour in cui incontrare due siti UNESCO, Qutab Minar e Humayun’s Tomb, non sempre inseriti nei nostri programmi.Prevediamo un pranzo, anche se a tarda ora. Per la cena ognuno provvederà autonomamente in aeroporto, dove arriveremo presumibilmente intorno alle 19/19,30.   Introduciamo qualche elemento conoscitivo di Delhi, anche se vi sostiamo poco. Delhi è grande, ca ... Si incontrano culture che trovano riscontro fisico più immediato nella Old Delhi che è stata capitale dell’India islamica, con evidenze Moghul, che nella New Delhi ex capitale di quella britannica.Da sempre è crocevia tra l’Asia occidentale e sud est asiatico. Se ne conoscono le storie sin dal X secolo a.C., anche se le vicende vere trovano fonti più certe dal I d.C. Grazie alla sua posizione sul fiume Yamuna, il più importante affluente del Gange, si è sviluppata accavallando intorno al suo corso d’acqua otto diversi nuclei urbani, ultimo dei quali è quello inglese. Dal XII secolo è il più rilevante centro indù dell’India settentrionale. Fa seguito un periodo islamico con la conquista da parte di Qutab-ud-din, che termina nel 1803 quando viene occupata dagli inglesi. In quel momento non era ancora capitale, anche se già nel XVII secolo gli imperatori Moghul l’avevano individuata temporaneamente come tale, sostituendola ad Agra. Nel 1911 iniziano i lavori che terminano vent'anni dopo, per fare della New Delhi la nuova capitale al posto di Calcutta. Di fatto, però, lo sviluppo di Delhi quale effettiva capitale dell’India, si realizza pienamente solo dopo l’indipendenza nel 1947. Il Qutab Minar, il minareto, è alto oltre 70 metri ed è considerato una delle torri “più ammirevoli al mondo” dal punto di vista stilistico ed architettonico. Può anche essere un giudizio sproporzionato alla sua effettiva attraenza, ma si tratta comunque di un’opera assai apprezzabile. Si mostra imponente, in grado di dare immediatamente idea della massiccia presenza della cultura islamica in India, di cui vuole celebrare la diffusione. Risale al XII secolo ed è eretto subito dopo la fine dell’ultimo regno indù. Per questo Qutab-ud-din lo volle alto e ardito. Alla base, il diametro è di 15 metri mentre in cima si assottiglia tanto da misurare 2,5 metri. Arenaria e marmo di vari colori ne decorano i cinque piani, ognuno dei quali presenta una sorta di balconata. Una lieve inclinazione (della quale qualcuno approfitta per proporla come “la Torre di Pisa Indiana”), non ne mette in pericolo la tenuta. Dal 1993 è patrimonio UNESCO.Alla sua base si trovano i resti della prima moschea costruita dallo stesso Qutab, anche se ciò che si osserva oggi è il risultato di ripetuti rimaneggiamenti, da quando fu inizialmente progettata per rappresentare la potenza dell’Islam.   Ancora più antica è la colonna di ferro, iron pillar, posta nel cortile della moschea portata qui dallo stato del Bihar e risalente a circa 2000 anni fa, che inizialmente decorava un tempio dedicato a Vishnu. Humayun’s Tomb. È il secondo dei monumenti patrimonio UNESCO che vedremo. Ad una prima osservazione potrebbe ricordare l’altra tomba Patrimonio dell’Umanità di Agra. In realtà le due strutture sono assai diverse fra loro, anche se il complesso di Agra appare come rielaborazione di quanto si osserva a Delhi. La tomba fu commissionata dalla vedova di Humayun alla metà del secolo XVI e realizzata in base al progetto di un architetto persiano, in stile ovviamente Moghul. Ospita anche molte altre sepolture, inclusa quella della stessa vedova, e introduce nelle architetture indiane alcuni elementi di novità come i giardini di scuola persiana, la complessità della costruzione, l’uso dell’arenaria per un edificio di grandi dimensioni. Volo Qatar alle 22,10 con arrivo a Doha alle 23,45.
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Volo Qatar da Doha per Milano 1,35 con arrivo a Malpensa alle 6,55.    1 e 2 - Uomini e donne indossano abiti tradizionali non solo nelle occasioni formali ma anche a scuola o negli uffici pubblici  3 - National Memorial   4 - Valle di Paro